Quando un ragazzo entra in comunità, trova un ambiente che, nella maggior parte dei casi, rappresenta un rifugio: un luogo sicuro, accogliente, protetto. È uno spazio in cui non mancano figure adulte di riferimento, regole chiare, una quotidianità scandita da ritmi rassicuranti e la possibilità di ricevere cure e attenzioni che spesso erano mancate in famiglia.
Ma la comunità non è per sempre. Una volta raggiunta la maggiore età, il ragazzo deve lasciare quel luogo. E qui inizia il vero problema: cosa succede quando si chiude la porta della comunità e si apre quella del “mondo reale”?
Molti di questi giovani, purtroppo, non hanno nessuno ad attenderli fuori. Oppure si ritrovano costretti a tornare proprio in quegli ambienti familiari da cui erano stati allontanati: contesti tossici, disfunzionali, a volte persino pericolosi. Il rischio è enorme: sentirsi persi, soli, senza strumenti, senza prospettive. Alcuni finiscono per ricascare nelle stesse abitudini dannose del passato, tra solitudine, dipendenze, violenze.
Preparare al futuro già dentro la comunità
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Orientamento scolastico e lavorativo: aiutarli a scoprire le proprie passioni e capacità, a formarsi e ad acquisire competenze spendibili nel mondo del lavoro.
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Tirocini e laboratori pratici: esperienze che diano fiducia e concretezza, perché nessuno esce pronto alla vita adulta senza aver mai sperimentato.
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Educazione alle relazioni: imparare a riconoscere le persone di cui fidarsi, a costruire rapporti sani e rispettosi, a non lasciarsi trascinare da chi li spingerebbe di nuovo verso il baratro.
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Competenze di vita quotidiana: saper gestire i soldi, organizzare una giornata, cucinare, prendersi cura di una casa e, soprattutto, di sé stessi.
Preparare al futuro significa dare strumenti, non solo protezione.
E dopo i 18 anni?
Qui si apre la questione più delicata: i ragazzi, diventati maggiorenni, sono legalmente adulti, ma non sempre lo sono davvero sul piano emotivo. A 18 anni si è ancora fragili, in cerca di identità, facilmente manipolabili. Ecco perché serve un ponte tra la comunità e l’autonomia.
Alcuni strumenti possibili sono:
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Appartamenti di semi-autonomia: luoghi in cui i ragazzi possano vivere con un certo grado di indipendenza, ma ancora con il sostegno di educatori.
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Progetti di mentoring: figure adulte o ex-ospiti che restino punti di riferimento, capaci di accompagnare i giovani nel tempo.
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Reti territoriali: associazioni, enti locali, aziende che collaborino per creare opportunità lavorative e sociali.
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La comunità come “porta sempre aperta”: anche dopo l’uscita, dovrebbe restare un luogo a cui tornare, almeno per un consiglio o un momento di ascolto.
La domanda centrale
Aiutarli significa costruire alternative reali ai contesti da cui provengono, dare loro la possibilità di scegliere strade nuove e non solo di sopravvivere. È un lavoro che richiede impegno collettivo: istituzioni, educatori, scuole, associazioni e comunità devono agire insieme.
Conclusione
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Prof. Giuliana
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