Quando parliamo di scuola, l’errore è spesso visto come un nemico da evitare a tutti i costi. Per molti bambini (e non solo) sbagliare significa fallire: prendere un brutto voto, deludere l’insegnante o i genitori, sentirsi meno bravi degli altri. Ma se ci fermiamo a riflettere, ci accorgiamo che senza errori non si impara. L’errore è una tappa inevitabile del percorso di crescita ed è proprio attraverso lo sbaglio che si costruiscono conoscenze più solide e durature.
L’errore come parte del processo
La pedagogia e la psicologia dell’apprendimento ci insegnano che l’errore non è un fallimento, ma un segnale prezioso. Indica dove si trova il bambino nel suo percorso di conoscenza e quali passaggi deve ancora interiorizzare. Jean Piaget parlava di conflitto cognitivo: quando il bambino si accorge che qualcosa non torna, nasce in lui la necessità di cercare nuove soluzioni. In questo modo lo sbaglio diventa la molla che spinge ad affinare le strategie, a rivedere i ragionamenti, ad allargare la propria visione. In altre parole, senza errore non c’è vero apprendimento.
Perché i bambini hanno paura di sbagliare
Eppure, nonostante questo valore educativo, molti bambini crescono con una vera e propria paura dell’errore. A scuola pesa molto la cultura del voto e della prestazione: si tende a misurare il risultato finale più che a osservare il percorso che ha portato a quel risultato. Così, se un bambino sbaglia, finisce per sentirsi “incapace” invece che in cammino verso l’apprendimento.
Anche gli adulti, insegnanti e genitori, a volte, trasmettono senza volerlo ansia da prestazione: un commento affrettato, un rimprovero, un confronto con altri compagni possono bastare a far percepire l’errore come colpa. Il rischio è che i bambini smettano di provare, per paura di non essere all’altezza.
Cambiare prospettiva: dall’errore alla risorsa
Perché l’errore diventi un’occasione di crescita, serve un cambio di sguardo.
In primo luogo occorre normalizzare lo sbaglio: raccontare ai bambini che anche gli adulti sbagliano, condividere piccoli errori quotidiani, dimostrare che non è la fine del mondo.
È altrettanto importante analizzare insieme l’errore, senza limitarci a dire “è sbagliato”, ma cercando di capire con il bambino come è arrivato a quella risposta. Questo processo di riflessione lo aiuta a comprendere meglio i suoi ragionamenti e a trovare da sé nuove strade.
Un altro aspetto fondamentale è premiare il tentativo: valorizzare lo sforzo, la creatività della strategia, la perseveranza, anche se il risultato non è ancora corretto.
Infine, dobbiamo creare contesti sicuri, dove l’errore non venga stigmatizzato ma accolto come parte naturale del lavoro. Circle time, cooperative learning o attività di gruppo possono aiutare i bambini a vedere che tutti sbagliano e che insieme si può imparare dagli errori reciproci.
L’errore come occasione di crescita personale
Accettare l’errore non ha valore solo sul piano cognitivo, ma anche su quello emotivo e personale.
Un bambino che impara a convivere con lo sbaglio sviluppa resilienza, perché non si arrende davanti al primo ostacolo.
Allo stesso tempo costruisce un’autostima realistica, che non si basa sull’essere perfetto ma sulla consapevolezza di poter migliorare.
Infine, l’analisi dell’errore favorisce il pensiero critico: non accettare le cose in modo passivo, ma avere la capacità di metterle in discussione e di rielaborarle.
Educare a vedere l’errore come un alleato e non come un nemico è una sfida pedagogica fondamentale. Significa spostare lo sguardo dal giudizio al processo, dalla prestazione al percorso. Non riguarda soltanto gli studenti, ma anche insegnanti e genitori, chiamati a cambiare il loro approccio. Perché solo così potremo crescere persone capaci di affrontare la complessità del mondo senza paura di sbagliare, ma con la fiducia di poter sempre imparare
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