Ci sono momenti in cui insegnare sembra non bastare più.
Momenti in cui la passione si spegne, la stanchezza prende il sopravvento e tutto ciò che un tempo era fonte di entusiasmo diventa solo fatica.
È in questi momenti che molti docenti si trovano a fare i conti con una parola pesante ma reale: burnout.
Non si tratta semplicemente di stress o di esaurimento fisico. Il burnout, in chiave pedagogica, rappresenta qualcosa di più profondo: una crisi del senso educativo, una frattura interiore tra il "perché" insegno e il "come" riesco ancora a farlo.
Il burnout come crisi del senso educativo
Ogni insegnante inizia il proprio percorso con un’idea, un sogno, una vocazione.
Educare significa costruire significati, generare possibilità, accompagnare altri esseri umani nella loro crescita. Quando però le giornate diventano una corsa tra burocrazia, scadenze e urgenze, quel senso rischia di dissolversi.
Il burnout, allora, non è solo fatica: è perdita di significato.
È la sensazione di non fare più la differenza, di non essere riconosciuti, di non riuscire più a "vedere" i propri alunni nella loro unicità. È il venir meno di quella motivazione intrinseca che, come sosteneva Paulo Freire, alimenta l’insegnante come “soggetto critico e riflessivo”.
Anche Carl Rogers, parlando della relazione educativa, ricordava che l’autenticità e la congruenza sono alla base di ogni apprendimento significativo.
Ma come restare autentici quando ci si sente svuotati?
Le radici del malessere
Le cause del burnout sono molteplici e complesse: sovraccarico di lavoro, classi numerose, scarso riconoscimento sociale, conflitti interni o famiglie sempre più esigenti.
Tuttavia, da un punto di vista pedagogico, una delle radici più profonde è l’assenza di spazi di riflessione.
La scuola di oggi, spesso, non lascia tempo né luogo per la riflessione educativa.
Eppure, la pedagogia nasce proprio dal bisogno di interrogarsi sul senso dell’agire: "Perché faccio quello che faccio? Che valore ha ciò che sto trasmettendo? Chi divento, come insegnante, dentro questa relazione?"
Quando questa domanda scompare, resta solo l’automatismo. E l’automatismo, a lungo andare, logora.
La cura di sé come atto educativo
Non possiamo educare senza prenderci cura di noi stessi.
Questa affermazione, semplice ma profonda, è al centro della pedagogia della cura, teorizzata da autrici come Nel Noddings e Luigina Mortari.
Prendersi cura di sé, in questa prospettiva, non è egoismo, ma responsabilità educativa: solo chi si mantiene in equilibrio può farsi presenza autentica per l’altro.
Per contrastare il burnout, è necessario riscoprire la cura di sé come pratica pedagogica:
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creare momenti di confronto tra colleghi, come vere e proprie comunità di pratiche;
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riservare spazi di ascolto e condivisione, dove l’esperienza dell’insegnare possa essere narrata e rielaborata;
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coltivare la formazione non solo tecnica, ma umana e relazionale;
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imparare a dire "basta" quando il troppo diventa disumano, senza sensi di colpa.
Prendersi cura di sé significa ricordare che anche l’insegnante è una persona che apprende, che si evolve, che ha bisogno di nutrire la propria interiorità.
Ripartire dal senso e dalla relazione
Il vero antidoto al burnout, in fondo, non è un corso di aggiornamento o una tecnica di gestione del tempo.
È il ritorno al senso.
È il riscoprire la bellezza del proprio ruolo attraverso le piccole cose: lo sguardo di un alunno che finalmente comprende, una conversazione che lascia traccia, la consapevolezza che ogni giorno, anche tra mille difficoltà, stiamo seminando qualcosa.
Insegnare non significa solo "fare scuola". Significa esserci, con autenticità e presenza.
E questo esserci richiede energia, cura, equilibrio.
Come scriveva Mortari, "aver cura di sé è il modo più profondo di aver cura dell’altro."
Proteggere la propria fiamma non è un atto di debolezza: è il modo più forte e onesto di continuare a illuminare.
Il burnout ci ricorda che anche chi educa ha bisogno di essere sostenuto, ascoltato, valorizzato.
Parlare di burnout in chiave pedagogica significa riconoscere che l’insegnante è prima di tutto una persona che vive relazioni — e che in quelle relazioni si gioca il suo benessere, la sua efficacia e la sua umanità.
Perché non possiamo dare luce se non proteggiamo la nostra fiamma. 🔥
E tu?
Hai mai attraversato un periodo di stanchezza o disillusione nel tuo lavoro educativo?
Come sei riuscito (o stai provando) a ritrovare equilibrio e significato?
Raccontalo nei commenti: il confronto tra insegnanti può diventare il primo passo di una comunità di cura e riflessione.
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Ti aspetto lì per continuare il confronto e costruire insieme una comunità educativa consapevole e autentica. Grazie💛
Prof. Giuliana
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