Quando non si riconosce più la gentilezza
Da piccola è stata maltrattata da chi avrebbe dovuto proteggerla: genitori, parenti, adulti che avrebbero dovuto essere un rifugio sicuro si sono rivelati invece fonte di dolore e paura.
E come potremmo biasimarla?
Se nella vita hai conosciuto solo violenza, come puoi riconoscere la cura? Se nessuno ti ha mai abbracciato senza farti del male, come puoi credere che un abbraccio possa scaldarti e non ferirti?
Succede così che, da grandi, si faccia fatica a leggere la gentilezza per ciò che è. Si vede un pericolo dove c’è un gesto d’amore. Si fugge da ciò che, in fondo, si desidera con tutto il cuore: essere visti, accolti, ascoltati.
Ma noi non siamo isole. Abbiamo bisogno degli altri per esistere, per costruirci, per guarire. Abbiamo bisogno di relazioni vere per stare nel mondo.
A volte, dietro la rabbia, dietro il rifiuto, dietro il silenzio… c’è solo una persona che ha paura. Paura di fidarsi, di lasciarsi andare, di scoprire che sì, la gentilezza può fare paura, ma può anche salvarti.
E allora noi adulti, educatori, insegnanti, dobbiamo avere pazienza. Dobbiamo esserci, anche quando ci respingono. Perché ogni piccolo gesto seminato nella costanza, nella sincerità e nel rispetto, può diventare un varco in quel muro.
Non è facile, ma vale la pena. Perché un giorno, magari, quella ragazza alzerà lo sguardo e comincerà a vedere la gentilezza per quello che è: un dono. Non una trappola.
Se anche voi, come docenti, educatori o semplicemente come persone, avete vissuto esperienze simili, se vi è capitato di avere paura della gentilezza, o di incontrare qualcuno che la temeva, vi va di raccontarmelo? Mi piacerebbe conoscere la vostra storia. Lasciate un commento e non dimenticate di seguirmi anche su instagram 👈
Grazie ❤
Prof. Giuliana
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