Un Sistema che non cura, ma contiene!

 


Oggi ho bisogno di sfogarmi. Sono profondamente arrabbiata!
Arrabbiata con il sistema in cui viviamo, con le priorità completamente sbagliate di questo Paese. Con tutte quelle situazioni che dovrebbero essere semplici, logiche, umane… e che invece diventano ingiuste, assurde, irrisolvibili.

Voglio raccontarvi un episodio che mi ha scossa nel profondo.
Chi ha letto il mio post precedente sul Disturbo Oppositivo Provocatorio ricorderà della nuova ragazza di cui parlavo. (Se ve lo siete perso, vi invito a leggerlo [qui il link] per avere un quadro più completo.)

Questa mattina, appena arrivata a scuola, una collega mi informa che quella ragazza non sta bene, e che vuole tornare in comunità. Mi precipito a capire cosa sia successo. Scopro che da qualche giorno in comunità le stanno somministrando dei calmanti, probabilmente per gestire i suoi comportamenti oppositivi.

E non era la prima volta che assistevo a una cosa simile.
Abbiamo altre ragazze provenienti da altri centri simili: tutte con lo stesso sguardo perso, lo stesso rallentamento nei movimenti, nel linguaggio, nel pensiero. Sedate. Spente. Invisibili.

Anche lei ora era così.
L’ho trovata seduta per terra. Sembrava esausta, svuotata, impaurita. Solo pochi giorni fa era un vulcano di energia, provocatoria, irruenta, piena di rabbia, ma viva! Ora era l’ombra di sé stessa. Mi sono seduta con lei. L’ho abbracciata. Non sapevo che altro fare.

Mi ha raccontato che un medico le aveva prescritto dei farmaci, dicendole che se si fosse comportata meglio, forse glieli avrebbero tolti. Mi ha detto che non si sentiva più lei stessa. Era triste e impaurita. E io, in quel momento, ero impotente.

Ho cercato di rassicurarla. Le ho detto che il suo corpo, col tempo, si sarebbe abituato. 

Poi, più tardi in mattinata, è arrivato un educatore per riaccompagnarla al centro. 

Ho colto l’occasione per parlargli e mi ha rassicurato sul fatto che la prescrizione fosse stata fatta da un medico, ma non ha saputo dirmi nulla sul dosaggio, ovviamente non era il suo ruolo. Gli ho chiesto se almeno preparassero i ragazzi a ciò che avrebbero potuto provare, e mi ha detto che ne avrebbero parlato con lo psicologo.

Ed è qui che esplode la mia rabbia.

Non ce l’ho con l’educatore. Non ce l’ho nemmeno con il medico. 
Ce l’ho con il sistema!

Ce l’ho con un sistema che non finanzia adeguatamente queste realtà. Che non mette a disposizione personale sufficiente: educatori, psicologi, operatori. Ce l’ho con un sistema che lascia scoperti questi ruoli fondamentali non solo nelle comunità, ma anche nelle RSA, negli ospedali, nelle scuole.

Non si investe nella formazione, nell'istruzione, nella sanità. Non si investe nel futuro!

Così ci ritroviamo con comunità che straripano di ragazzi e ragazze segnati da un passato difficile, spesso orribile. Ragazzi abbandonati da genitori, parenti, famiglie inesistenti o problematiche. Ragazzi che, in teoria, in comunità dovrebbero trovare un rifugio, una seconda possibilità, un posto dove affrontare i propri mostri interiori e costruirsi un futuro.

Invece, cosa succede?

Succede che non ci sono abbastanza risorse!

Questi ragazzi arrivano in comunità dopo storie familiari tragiche: abbandoni, violenze, traumi profondi. In teoria, lì dovrebbero trovare un rifugio, una seconda possibilità, un luogo sicuro dove elaborare il passato e costruire il futuro. Ma cosa succede davvero?

Succede che uno psicologo, forse una volta a settimana, deve occuparsi di decine di giovani con ferite interiori enormi.
Succede che non c’è tempo. Che non ci sono spazi adeguati.
E allora cosa si fa? Si dà un calmante. Così si attenua il comportamento, ma non si cura la causa.
Ma non è questo ciò che serve veramente!

Serve ascolto. Serve tempo. Serve cura. Serve presenza...Serve umanità.

Lo ripeto con forza: non accuso gli operatori delle comunità, né gli psicologi, e nemmeno il medico che ha prescritto il farmaco.
Sono certa che sia un professionista preparato e che abbia agito secondo coscienza, con il desiderio sincero di aiutare la ragazza nel modo che riteneva più opportuno e deontologicamente corretto. 
So bene che certe decisioni sono difficili e che spesso si agisce con le poche risorse che si hanno a disposizione, cercando un equilibrio tra emergenze, urgenze e realtà complesse.

Accuso il sistema.
Quel sistema che non lascia alternative. Che costringe educatori, medici e psicologi a lavorare in condizioni estreme, con carichi di lavoro disumani e strumenti insufficienti. Quel sistema che spinge verso la scorciatoia, non perché manchi la volontà di curare, ma perché mancano i mezzi per farlo davvero.

Mi fermo qui.
Ma vi chiedo: se tra voi c’è qualcuno che ne sa più di me, perché accadono queste cose?
Lasciate un commento, una riflessione. Aiutatemi a capire. Perché io, oggi, mi sento solo arrabbiata.
E profondamente triste. 💔

Prof. Giuliana


🛡️ Nota: alcuni dettagli sono stati modificati o resi volutamente vaghi per proteggere la privacy dei minori coinvolti e rispettare la riservatezza del contesto scolastico ed educativo. Lo scopo di questo racconto è esclusivamente riflessivo e sociale, non accusatorio verso singoli individui o strutture specifiche.

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