Oggi vi racconto della "Casa degli orrori: tra bugie, speranze e nuovi inizi" (parte 3)


                                         



Per chi si fosse perso la prima e la seconda parte vi lascio qui di seguito i link: la casa degli orrori: un intervento disperato! e la casa degli orrori: restare quando invece vorresti scappare.

                                                

Nota sulla privacy: al fine di tutelare la privacy della famiglia coinvolta, alcune informazioni sono state modificate e dettagli anonimi sono stati utilizzati in questa narrazione. La storia raccontata è reale, ma alcuni aspetti sono stati adattati per garantire la protezione della famiglia e delle persone coinvolte.



Nei mesi successivi, in stretta collaborazione con gli assistenti sociali, cominciammo a occuparci di tutto ciò che lei da sola non riusciva o non voleva affrontare. 

I bambini non avevano mai fatto una visita medica, o quasi. Nessuna iscrizione all'asilo, nessuna valutazione specialistica, anche sei i piccoli, nonostante l’età, non parlavano ancora. Emettevano solo suoni incomprensibili e urla gutturali.

La madre restava diffidente, sempre. Ogni proposta veniva accolta con sospetto, ogni appuntamento specialistico rimandato con mille scuse. E poi c'erano le bugie. Tante, troppe. Bugie piccole e grandi, cucite addosso a ogni dettaglio della sua vita. Alla fine, non sapevo più distinguere ciò che era vero da ciò che non lo era. Era estenuante.

Ricordo l’ultima visita dalla neuropsichiatra. Appena usciti dallo studio, cominciò a urlarmi contro per strada. Diceva che l’avevo tradita, che non avevo difeso lei e i bambini davanti alla dottoressa, che avevo lasciato che li etichettassero come "handicappati". Era rabbia, frustrazione, dolore. Ma, per me, era anche una fatica continua cercare di starle accanto.

Eppure, tra un rifiuto e un segno di apertura, tra una regressione e un barlume di speranza, qualcosa si muoveva. Bastava che mi assentassi qualche giorno e tutto tornava nel caos. Ma ogni volta che tornavo, riprendevamo il cammino da dove l'avevamo interrotto.

Anche l’iscrizione all'asilo fu una battaglia. Non si fidava delle maestre e bastava una scusa qualunque per tenere i bambini a casa. Ma non mollai. La mia fatica era immensa, eppure cominciavo a vedere piccoli risultati: la casa più ordinata, meno sporcizia, un’attenzione maggiore all’igiene dei figli.

Poi arrivò la notizia: era incinta di nuovo. Il terzo figlio. Io ero preoccupata, lei no. «Come mangiamo in quattro, mangeremo in cinque», mi disse con una leggerezza che mi spiazzò. Ma fu proprio quel nuovo arrivo a spingerla, forse, a fare un passo in più. Con il mio aiuto, cominciò a frequentare un’associazione che sosteneva mamme in difficoltà. A volte non aveva neanche i soldi per le medicine dei bambini.

L'ultimo grande obiettivo era trovare una nuova casa. Quella in cui vivevano era fatiscente, pericolosa, e il proprietario le aveva notificato lo sfratto entro un mese. Il problema era doppio: i costi insostenibili e il pregiudizio. Nessuno voleva affittare casa a una donna con un marito straniero e tre figli piccoli.

Il mio servizio stava per terminare. Non ero riuscita a trovarle una casa in tempo. Me ne andai con un senso di incompiutezza.

Ma un mese dopo il nostro addio, accadde l'imprevisto: mi scrisse. Aveva trovato casa in un paese vicino, aveva iscritto i bambini a scuola, aveva partorito e, a modo suo, si prendeva cura della nuova vita che aveva ricominciato. 

Mi mandava foto. Sembravano sereni. Sembrava pulita. Ordinata. Presente.

Non avevo fatto miracoli. Ma forse, qualcosa, le era rimasto. Forse, nel buio di quella casa, avevamo acceso insieme una luce. 

E dalle ultime novità... pare che aspetti il quarto figlio.
Sì, proprio così. "Come mangiamo in cinque, mangeremo in sei", direbbe lei.
Io, nel dubbio, ho riso. Per non piangere 😅


Questa esperienza mi ha insegnato che, a volte, i cambiamenti più significativi non avvengono all'improvviso, ma goccia dopo goccia. Che anche dove sembra esserci solo degrado, può nascere un seme di consapevolezza, di autonomia, di cura. E che il nostro lavoro educativo non è fatto per raccogliere applausi o risultati immediati, ma per lasciare una traccia, piccola, invisibile, ma duratura.

Non sempre si riesce a vedere immediatamente il frutto del proprio impegno. Ma quando accade, anche solo in una foto inviata per caso... capisci che ne è valsa la pena.

Se questo post vi è piaciuto condividetelo e, se vi va, commentate! Le vostre esperienze condivise possono essere preziose per chi fa il nostro lavoro. 

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Prof. Giuliana

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